La sempre maggiore attenzione alla propria presenza digitale è causa o effetto delle attuali trasformazioni sociali nel mondo del lavoro? Si potrà ancora distinguere tra vita lavorativa e vita privata?
In un articolo dell’anno scorso pubblicato nel sito della BBC (How recruiters are stalking you on facebook), si discuteva sulle potenziali discriminazioni in cui le società di selezione avrebbero potuto incappare se, nei loro processi di recruitment, fossero stati utilizzati gli adv targetizzati di Facebook. A prescindere da questa pratica di promozione selettiva del lavoro, si conferma ancora una volta che oggi sempre più recruiters utilizzano i social networks per cogliere aspetti personali rilevanti nei profili dei candidati che andranno a valutare. Considerando questa tendenza e le continue sollecitazioni del mercato al personal branding, l’iniziale differenziazione commerciale tra social network dedicato alle relazioni “private” o affettive (per esempio Facebook), e social network per le relazioni professionali (es. Linkedin), sembra forse destinata ad assottigliarsi sempre più.
…l’ansia da visibilità e la dipendenza dai social sono (…) tra i principali mali psicologici dell’epoca digitale
Bauman, nel suo famoso saggio “Consumo dunque sono” (2007), metteva in evidenza come il nuovo mercato del lavoro stia spingendo tutti noi alla mercificazione della nostra persona, esortandoci sempre più ad esporci, a scoprirci, fin nei più intimi dettagli della nostra vita privata, allo scopo di risultare più interessanti, coinvolgere maggiormente il nostro pubblico ed aumentare le probabilità di essere notati. Nella sua lettura della società moderna, le persone
“sono lusingate, incitate o costrette a pubblicizzare una merce che sia attraente e desiderabile, a farlo con tutte le forze e ad usare tutti i mezzi di cui dispongono per accrescere il valore di mercato di ciò che vendono. E le merci che sono sollecitati a mettere sul mercato, pubblicizzare e vendere sono se stessi.”Bauman, 2007
In questo scenario prospettato dal noto sociologo polacco, l’ansia da visibilità e la dipendenza dai social sono, come spesso viene documentato da autorevoli ricercatori, tra i principali mali psicologici dell’epoca digitale. Da una parte, la percezione delle possibilità (lavorative e non) che la nostra realtà quotidiana ci offre è mediata e filtrata dalle interfacce digitali, ed il possesso individuale di un dispositivo connesso ad internet diventa l’obbligatorio canale d’accesso a questa rappresentazione virtuale della realtà; dall’altra, c’è il narcisismo, una peculiarità caratteriale che spesso viene associata alle tendenze individualistiche ed egocentriche della persona, che viene esaltato dalle dinamiche sociali ed economiche contemporanee, guidate nella loro realizzazione dalle stesse società private che artificialmente costruiscono il “mondo percepito” di cui sopra (Google, Facebook, Linkedin…ecc), e che sono le vere protagoniste della globalizzazione del pensiero.
Scrivere e riflettere su questi aspetti, proprio utilizzando un social network, è certamente un modo per mettersi in evidenza, ma credo anche per lanciare degli spunti, utili forse per cercare la propria autonomia intellettuale, per non essere travolti e subire la tecnologia, ma sforzarci costantemente a rimanere vigili e riuscire sempre a metterla al nostro servizio.